Fare i padri essere figli, di Roberta Vinerba

Roberta Vinerba
Fare i padri essere figli
Ed. Paoline

Libro intenso e profondo sul padre, scritto da una donna, una suora che mostra grande intuio psicologico e una fine sensibilità simbolica

I primi passi di Vincent Van Gogh, una delle immagini scelte da Roberta Vinerba per illustrare le sue parole sul padre, mostra un contadino accucciato, a braccia aperte che attende la figlia piccola, sorretta dalla madre e rivolta verso di lui. Il padre si presenta come colui che accoglie, da una certa distanza, i primi passi della figlia verso la vita. Sullo sfondo la casa e, ancora attaccata a lei, la madre, da cui la piccola si dovrà staccare. L’immagine ci presenta la bimba che si protende verso il padre nel desiderio di raggiungerlo e di stare presso di lui per imparare a camminare, a andare per il mondo. Metafora del rapporto ideale tra figlia e padre, il quadro di Van Gogh mostra la tensione psichica e spirituale che anima tutto il libro di suor Roberta Vinerba. Una donna che dall’esperienza con il padre personale, ma anche con Dio Padre, trae la capacità di parlare della paternità con sensibilità psicologica e intelligenza simbolica. Fin dall’inizio il padre viene presentato nella sua funzione diversa e complementare rispetto alla madre. Se la madre sente il figlio attraverso il corpo e il suo compito primo è quello di accoglierlo e conservarlo in vita, il padre lo riconosce con la mente e con il cuore. Il suo compito è quello di separarlo dalla madre perché il figlio possa scoprire la propria strada e diventare se stesso. E’ il padre che in questo modo “fa nascere l’individuo con la sua personalità propria”. Le braccia del padre sono aperte, garanzia per il figlio di una presa sicura. Andando verso il padre, la piccola di Van Gogh sa di non andare verso l’ignoto, sa che il suo cammino ha un senso, una direzione. Il padre che insegna ai figli l’autonomia, “la schiena dritta nella vita” è custode di un amore che presenta il valore della distanza, della tensione verso l’altro, verso il mondo dei valori e, in ultima istanza, verso Dio. Per questa ragione il padre non può proporsi come l’amico del figlio e nemmeno come una versione al maschile della madre. Deve sapere che i figli non gli appartengono e che la loro vocazione dipende da un altro Padre le cui vie sono spesso imperscrutabili. La vicenda di Pietro da Bernardone e del figlio Francesco introduce al tema dell’alterità e del conflitto che segna sempre la relazione tra padre e figlio. Francesco lascia l’eredità del padre terreno, si spoglia di tutto, anche dei suoi abiti per seguire la chiamata del Padre celeste. Ma anche il padre è destinato a lasciare il figlio, a sacrificarlo a Dio, come insegna il racconto di Abramo e di Isacco. Con sapienza e capacità ermeneutica l’autrice ci accompagna attraverso luoghi dell’Antico e del Nuovo Testamento, della letteratura e della poesia, alla ricerca del Padre. La ricerca del Padre però non è possibile senza riconoscere il valore della paternità terrena, quella che ciascuno di noi vive come figlio e che gli uomini possono realizzare come padri. Il testimone dell’invisibile è infatti il padre personale. E’ lui che li immette nel flusso delle generazioni e collegandoli al passato permette loro di volgere lo sguardo al futuro. “Più della madre che è la radice corporale, viscerale potremmo dire dell’esistenza del figlio, il padre ne è la radice perché, inserendolo nella corrente generazionale, lo introduce al contempo nella dimensione culturale, sociale e politica dell’esistenza”. Venire al mondo grazie al seme di un donatore anonimo priva invece i figli, in modo violento, del diritto di conoscere la propria storia. Si tratta di una scelta che si inserisce nella corrente della società postmoderna che tende spesso a liquidare i padri ritenendo la loro funzione inessenziale per la vita dei figli. Come accade in caso di separazione e divorzio visto che i figli vengono affidati quasi sempre alle madri. Riconoscere il valore della paternità significa riconoscerne l’autorità. Il termine, oggi spesso disprezzato, significa “far crescere”, dal latino augere. Per far crescere i figli il padre è indispensabile. L’assenza del padre pone quindi un problema drammatico e richiede la capacità di individuare figure vicarie del padre che possano aiutare i figli a crescere. E’ un compito che possono svolgere dei maschi adulti in cui i giovani possano vedere l’immagine del padre: nonni, zii, maestri, sacerdoti, allenatori. La relazione con i maschi adulti che si assumano una sorta di paternità vicaria aiuta a superare il dolore per la morte e per l’assenza del padre e consente di coltivare dentro di sé quell’immagine che è indispensabile per compiere i primi passi verso la vita e il futuro. Forse ancora più tragica e dolorosa è la situazione di chi il padre ce l’ha, ma sente che è lontano, assente dal punto di vista del sentimento, oppure violento e autoritario. In questi casi una persona fatica a darsi un’identità stabile. La ferita che porta dentro è troppo profonda e sanguinante. E’ allora necessario un cammino che porti al perdono del padre. La riflessione psicologica si intreccia a questo punto con quella teologica e il cammino diviene un cammino di fede. Lo sguardo dell’autrice si rivolge ora al Figlio. Nell’incontro col Cristo è possibile curare il dolore per quella ferita e liberarsi dall’immagine demoniaca del padre. È “l’ascolto del Figlio che ci salva dalle proiezioni demoniache del volto del Padre”. Nel mistero di un Figlio che si sente abbandonato dal Padre, ma che continua a avere fiducia in lui, si realizza così la speranza che il padre, davvero, riviva nel figlio. Paolo Ferliga