Don Giovanni di Claudio Risé
Recensione al libro di Claudio Risé, Don Giovanni, l’ingannatore. Trappola mortale per donne d’ingegno, Frassinelli, (euro 16).
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Come un fantasma Don Giovanni si aggira ancora oggi nella psiche individuale e collettiva. Celebrato da un’ interpretazione di tipo romantico come emblema del libero amore e della trasgressione, contrapposto all’impegno ed alla serietà della vita coniugale, Don Giovanni ha affascinato le donne e sollecitato l’invidia degli uomini. Dagli intellettuali e dai critici letterari è stato spesso ammirato, presentato come un eroe del sentimento. Anche la psicoanalisi, che ha visto in lui l’uomo che passa da una donna all’altra perché, in fondo, è sempre prigioniero del complesso di Edipo e quindi irrimediabilmente innamorato della madre, ne ha subito in alcuni casi il fascino. Nel suo ultimo libro Don Giovanni, l’ingannatore. Trappola mortale per donne d’ingegno (Frassinelli , euro 16) Claudio Risé ribalta queste interpretazioni e mostra come Don Giovanni rappresenti da un lato la negazione del sentimento e dell’amore e dall’altro un aspetto d’ombra, oscuro e violento del maschile.
Non è l’attaccamento alla madre che lo caratterizza, ma piuttosto il suo rifiuto di accettare le regole del padre. Nelle opere letterarie che a partire dal Seicento ci restituiscono la sua immagine archetipica, non troviamo infatti alcuna traccia della madre, bensì sempre del padre.
Nelle narrazioni di Tirso de Molina e di Mozart, Don Giovanni uccide il padre che difende la figlia. In quella di Molière augura a suo padre di morire, perché non vuole riconoscere i valori a cui lo richiama: la virtù delle azioni e l’importanza del giudizio morale come titoli di vera nobiltà. Chiuso nel suo narcisismo, incapace di confronto col mondo del padre e con le sue regole, Don Giovanni rappresenta “l’aspetto di Ombra, superficiale e violenta, della calma profondità del mondo maschile.” E’ importante che le donne, sue vittime principali, ma spesso almeno inizialmente sue complici, sappiano riconoscerlo, per non cadere nella sua trappola. Come pare siano cadute, subendone il fascino, anche le grandi psicoanaliste Melanie Klein e Julia Kristeva. E gli uomini devono scovarlo dentro di sé per non chiudersi in una sorta di autismo infantile che di fatto li esclude per sempre dalla possibilità di amare. Sono loro che innanzitutto devono confrontarsi con questo lato distruttivo del maschile e scoprire che solo la relazione col padre, che è anche Dio Padre a cui il libertino ed ateo Don Giovanni non crede, li può salvare. Con un’analisi lucida ed efficace, che si ispira al pensiero di Carl Gustav Jung, Risé collega i problemi psicologici individuali, a movimenti di carattere più generale, che attraversano la storia della nostra cultura e della nostra civiltà. In quest’ottica l’immagine di Don Giovanni si presenta all’alba della modernità e contribuisce a liquidare quell’idea di amore fondato sul cuore e sul sentimento, nata in Occidente con la “civiltà cortese” e cantata dai trovatori nelle nobili figure di Parsifal e di Tristano. Una civiltà che poneva il piacere più sublime nel celebrare le virtù della donna, vista, grazie al cristianesimo, anche come immagine della perfezione divina. A quella civiltà si contrappone l’epoca nostra, ben più povera spiritualmente, che esalta un’idea di piacere slegato dal sentimento e tratta spesso l’amore come un bene di consumo: è l’ottica di Don Giovanni. A Claudio Risé psicoterapeuta ma anche studioso della società contemporanea non sfuggono gli episodi di cronaca quotidiana in cui agisce, in modo terribile, l’immagine oscura e invisibile, spesso mascherata di Don Giovanni. Analizzando un caso di cronaca recente, Risé ci aiuta a strappare quella maschera e a vedere che nasconde il nulla, parente stretto della follia. Chi si lascia affascinare da Don Giovanni ne è spesso preda.
L’esito della vicenda però, come raccontano le diverse narrazioni, ci consente anche oggi di sperare, a patto di vedere Don Giovanni per quello che è: un ingannatore interessato solo al potere e non all’amore. Don Giovanni infatti, che ha sfidato l’ordine simbolico maschile, paterno e divino, finisce giustamente all’Inferno. Il padre prevale e con lui, sull’amante libertino, la vince il marito che stringe a sé la sua sposa, pur con qualche paura. Come racconta l’ultimo capitolo di questo bel libro, dove l’autore, commentando la canzone napoletana Voc’e notte, mostra un’interpretazione dove il confine tra psicoanalisi e poesia tende a scomparire.