Nise da Silveira e Eugenio Pelizzari

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Eugenio Pelizzari, Le immagini dell'inconscio. Il contributo di Nise da Silveira, Moretti&Vitali, Bergamo 2010
Libro bello e commovente nato dall'incontro di Eugenio Pelizzari con Nise da Silveira, psichiatra brasiliana. Corredato di splendide immagini create da malati psicotici che nell'arte esprimono la la loro più profonda sofferenza, ma anche il loro amore per la vita.

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Prefazione di Paolo Ferliga
Luogo della verità o dell’inganno, dipendenti dalle sensazioni o dotate di vita autonoma, reali o illusorie, le immagini hanno conosciuto in Occidente, fin da Platone, una storia complessa e accidentata. Secondo un’interpretazione ancora corrente le immagini sarebbero contrapposte alle idee. Le prime, legate alle sensazioni, trarrebbero gli uomini in inganno, mentre solo le seconde, le idee, sarebbero in grado di esprimere la verità e la realtà dell’essere. Così le immagini sarebbero state condannate, proprio da Platone, ad una sorta di storia minore ed escluse dalla riflessione filosofica che si sarebbe invece interessata alle idee, ben presto ridotte, da Aristotele, a meri concetti. Anche quando, molto più tardi, l’immagine avrebbe riconquistato dignità, con il ruolo attivo attribuito da Kant all’immaginazione e la valorizzazione dell’immaginario e della fantasia da parte del Romanticismo, la sua importanza sarebbe stata limitata prevalentemente ad un ambito di tipo estetico. Come se le immagini potessero interessare solo l’ambito artistico e non quello scientifico, ritenuto ormai, nell’epoca moderna, l’unico luogo deputato alla ricerca della verità.

La svalutazione dell’immagine non riguarda soltanto l’ambito più strettamente teorico, ma mostra le sue tracce anche nel linguaggio comune, dove si dice, ad esempio, “quella è solo un immagine”, per indicare qualcosa che avrebbe un minor valore di verità e di realtà rispetto alla “cosa” che l’immagine raffigura. Le “cose” soltanto sarebbero deputate a dirci se un’immagine è vera o falsa, se ha quindi valore per la nostra vita. Quando invece per un’immagine non è possibile trovare la “cosa” che essa rappresenta o cui rimanda come una sorta di copia, questa immagine diviene inessenziale, priva di ogni importanza.

Si tratta, in fondo, di un approccio teorico che tradisce un’impostazione materialistica per cui ciò che è “reale” sarebbe sempre più importante di ciò che è solo “immaginario”: immagini, sogni, fantasie, allucinazioni, restano così confinate in una sorta di limbo, di non-luogo, in fondo prive di una propria vita autonoma e reale, destituite quindi di ogni interesse “scientifico”. La riduzione delle immagini a qualcosa di inessenziale e marginale fa sì che la psicologia, che trova nelle immagini, consce e inconsce, il suo campo d’indagine privilegiato, resti priva di un solido statuto epistemologico. Si preferisce oggi sostituirla con lo studio dei comportamenti, o delle reazioni che avvengono a livello neurologico, oppure con le indagini di tipo statistico. Insomma, con un oggetto di studio che sia, in qualche modo, misurabile e per questa ragione, apparentemente, più reale di ciò che, come l’immagine, si sottrae ad ogni misurazione. Ma le immagini della psiche, come potrà constatare chiunque si accosti a questo libro, sono dotate di una forza e di una energia in grado di suscitare sentimenti ed emozioni davvero vere e reali. Solo rivolgendosi a loro, la psicologia può trovare quel fondamento scientifico che inutilmente cerca nei parametri di tipo quantitativo.

D’altronde la contrapposizione tra immagine e realtà non tiene nemmeno sul piano filosofico: come dice Ludwig Wittgenstein, l’unica differenza tra una mela “reale” e l’immagine di una mela  sta nel fatto che la seconda non può essere mangiata. Ma questo fatto non attribuisce alla mela “reale” un più di realtà rispetto alla mela “solo” immaginata. La critica alle immagini, imputata a Platone, non regge ad un’analisi attenta: proprio il  termine idea, scelto da Platone per designare ciò che è massimamente reale e vero, per distinguerlo da ciò che è soltanto apparente e illusorio, mostra come l’interpretazione che lo vuole responsabile della svalutazione delle immagini sia del tutto fuorviante.   L’etimo del termine idea infatti, attraverso la radice id, che si trova anche nel latino videre, rimanda al verbo greco “vedere”. L’idea svela così proprio il suo intimo nesso con l’atto della visione e quindi con l’immagine. Fin dall’inizio della filosofia le immagini risultano perciò strettamente connesse al mondo delle idee, al luogo in cui abita il senso profondo dell’essere e della vita. Certo, la vista che può scorgere questo mondo non è, per Platone, quella dei sensi, che spesso inganna l’uomo, ma piuttosto quella dell’anima, della psiche, che sola può condurre alla verità. La filosofia diviene così, proprio a partire da Platone, il fondamento originario della psicologia. E una psicologia che voglia davvero essere tale, che ambisca ad essere un sapere della psiche trova nelle immagini il proprio terreno d’indagine privilegiato.

Nel Novecento Carl Gustav Jung riconosce il legame profondo che, attraverso le immagini, lega psicologia e filosofia. Secondo Jung, le immagini primordiali che abitano l’inconscio collettivo, gli archetipi, sono proprio la “parafrasi esplicativa” delle idee platoniche. Come le idee gli archetipi permangono invariati nel tempo e costituiscono la struttura portante dell’inconscio collettivo. Quando accade di scorgerli, nei sogni ad esempio, essi operano una profonda trasformazione nella psiche del sognatore, come le idee che, quando vengono scorte dal filosofo, ne mutano per sempre la vita.  Le immagini archetipiche godono infatti di un potere numinoso, divino, in grado di turbare e scuotere profondamente la coscienza, ma anche di orientarla e dare così senso al nostro mondo interiore.

Gli archetipi dispiegano tutto il loro potere numinoso nelle rappresentazioni psichiche della follia e possono, se opportunamente riconosciute e valorizzate, aiutare a contenerla e, qualche volta, a darle un significato. Proprio alle immagini della follia e a Nise da Silveira, che le ha sapute comprendere e valorizzare nel loro profondo significato psicologico, è dedicato questo lavoro prezioso, di Eugenio Pelizzari. Nato dall’incontro tra l’autore e la grande psichiatra e psicoanalista brasiliana, questo libro ci offre la possibilità di incontrare, a nostra volta, Nise da Silveira, ancora oggi quasi completamente sconosciuta in Italia.

Laureata in medicina nel 1926, a soli 21 anni, unica donna tra più di centocinquanta uomini, poi psichiatra,  fonda nel 1946 presso il Centro Psichiatrico Nazionale di Rio de Janeiro, allora chiamato Engegno de Dentro, ma che oggi porta il suo nome, una sezione di “terapia occupazionale” costituita da ateliers di pittura, scultura, danza e teatro, le cui opere vengono raccolte a partire dal 1952 nel Museo di Immagini dell’inconscio. Nel 1960 è tra i fondatori, a Parigi, della  Societé Internationale de Psychopathologie de l’Expression.

L’ incontro “folgorante” con Nise è raccontato con delicatezza dall’autore che riesce, dosando opportunamente riflessione teorica ed esperienza vissuta, ad affascinare anche il lettore. Colpiscono di Nise da Silveira il coraggio e la determinazione, la passione per il lavoro e l’amore per i suoi pazienti. Fin dall’inizio della sua attività rifiuta l’elettrochoc e la lobotomia, ancora largamente praticati in Brasile negli anni trenta, entrando così in conflitto con una certa psichiatria ufficiale. Intuisce presto che le immagini “catturano l’anima” e che quindi dipingerle e tradurle plasticamente potrebbe consentire di “difendersi dall’inondazione… dell’inconscio”. Da questa intuizione, centrale nella sua vita e nella sua attività, nasce l’incontro con Jung, nel 1957.  In giugno nella sua casa di Kusnacht e in settembre, al Secondo Congresso Internazionale di Psichiatria di Zurigo. E’ proprio a partire da questo incontro che la psicologia analitica “fa il suo ingresso in Brasile.”

Dal punto di vista teorico l’impostazione di Nise da Silveira mostra evidenti affinità con la psichiatria fenomenologica ed esistenziale di Karl Jaspers e di Ludwig Binswanger che si ispira, in Europa, alla fenomenologia di Husserl. D’altronde da Silveira non solo conosce molto bene Freud e legge R. D. Laing e D. Cooper , alfieri dell’antipsichiatria, ma  studia anche mitologia e  filosofia e giunge a mettere a punto un metodo che chiama “Archeologia della psiche”, che ricorda quello archeologico di Michel Foucault.  In questa prospettiva i sintomi psicotici vengono ricondotti a modalità espressive e rappresentative che diventano momenti indispensabili per la “comprensione” del paziente, del significato profondo della sua esistenza e del senso che in essa assume la malattia. Attraverso le immagini raccontate e prodotte dai pazienti, il delirio può infatti essere visto come l’estremo tentativo di un uomo e di una donna di diventare, nonostante tutto, se stessi, di realizzare, direbbe Jung, il progetto inconscio del Sé.

Parte integrante e fondamentale del libro, sono proprio le immagini realizzate dai pazienti nella sezione di terapia occupazionale dell’Ospedale Engenho de Dentro, immagini che Eugenio Pelizzari commenta con cura, intrecciando la sua riflessione a quella di Nise de Silveira. La forza e la bellezza delle immagini riprodotte è tale che, nel guardarle, sembra di trovarsi di fronte a produzioni artistiche, talvolta di notevole valore.

Nella prima serie di immagini compare una sorta di vocabolario di simboli e temi mitologici, che consente  di scorgere, in linee e colori, l’emergere degli archetipi dell’inconscio collettivo. Attraverso le immagini si fanno avanti la Dea Madre, l’Ombra, lo Spirito, l’Anima e, spesso in forma di mandala, il Sé. L’esperienza individuale degli autori-pazienti viene così illuminata e nello stesso tempo contenuta, dal rapporto con gli archetipi e con il loro carattere transpersonale.  Il lettore guarda, diventa spettatore e, se concentra la propria attenzione sui dipinti, rimane incantato dalle immagini.

Quando ci si addentra nell’ultima parte del libro si comprende davvero che “le immagini catturano l’anima”. Non solo dei pazienti, ma anche nostra. Forse perché, come diceva Manfred Bleuler, figlio di Eugen Bleuler (a cui si deve il termine schizofrenia), la “vita schizofrenica” esiste anche dentro ciascuno di noi, talvolta dormiente e nascosta, ma tuttavia parte e supporto della nostra personalità, o piuttosto, perché tutti siamo toccato dagli archetipi che abitano l’inconscio collettivo.

Nella terza parte del libro vengono poi presentati due testi di Nise da Silveira che commentano le opere di due pazienti, Isaac Liberato e Octavio Ignacio. Si tratta di dipinti che sorprendono per l’intensità e la ricchezza psichica che esprimono e per la capacità di raccontare la storia dei loro autori. Nel caso di Isaac colpisce come, a partire da un sintomo grave, le immagini rivelino progressivamente “la presenza attiva di forze psichiche organizzative…autocuratrici.” Prima più  ingenue e semplici, anche dal punto di vista stilistico, le immagini procedono poi verso una sempre maggiore autonomia  e compiutezza formale, guadagnando in rigore estetico e simmetria. Non sfugge nelle ultime raffigurazioni la sorprendente similitudine con alcune tavole del test elaborato da Hermann Rorschach. La trasformazione stilistica da forme più frammentate e lacerate a forme più armoniche e simmetriche accompagna la trasformazione psichica che aiuta Isaac a contenere gli aspetti più distruttivi della sua malattia.  Nel caso di Octavio invece, ci troviamo di fronte a una triplice serie: le immagini raccontano prima, con andamento quasi narrativo, la storia della vita e della sofferenza psichica, poi rielaborano quella storia in forma delirante e, infine, la ripetono e rappresentano in chiave simbolica ed archetipica. Simboli e archetipi consentono di dare un ordine formale alla realtà e al delirio.  Solo in quest’ultima serie si intravede un principio di individuazione e, forse, di relativa serenità. Anche in questo caso le immagini si trasformano nel corso del tempo, conseguendo sempre maggiore forza espressiva ed un equilibrio estetico più maturo: sviluppo psichico e maturità estetica sembrano andare di pari passo.

Chiude il libro una raccolta di quadri di Fernando Diniz, vissuto per mezzo secolo in ospedale psichiatrico e divenuto un artista importante per tutto il Brasile. Davanti alla sua opera la parola, anche dell’autore, si ritrae e lascia spazio alla visione e al silenzio.

Paolo Ferliga