FACEBOOK
  • '
    '

La moderna idolatria di se stessi su "Luoghi dell'infinito" novembre 2018

Paolo Ferliga La moderna idolatria di se stessi “Luoghi dell’Infinito” novembre 2018

Viviamo circondati e anche un poco ossessionati da idoli: del calcio, della moda, della musica, ma anche della politica. Eppure il pensiero moderno nasce con il fermo proposito di liquidare quegli idola, come li chiama Francesco Bacone, che impediscono di osservare e comprendere con mente libera la natura e la società. Nonostante il successo del metodo scientifico inaugurato dal filosofo inglese però, gli idoli sembrano godere, nella società contemporanea, un’ottima salute. Uno sguardo di tipo psicologico e archetipico può aiutarci a comprenderne le ragioni. Come indica l’etimologia, il termine deriva dal greco eídolon, con la stessa radice di vedere, e significa essenzialmente immagine. Disegnati sulle pareti delle caverne o rappresentati con materiali diversi in dimensione tridimensionale, gli idoli si diffondono dal Mediterraneo alla valle dell'Indo a partire da 4000 anni prima di Cristo. Simulacro del corpo umano, prima femminile e poi maschile, sono associati ai momenti essenziali dell’esperienza umana, dalla nascita alla morte. La creazione di idoli in un’area così vasta testimonia un’esigenza archetipica caratteristica dell’uomo: quella di creare immagini e oggetti che, privi di funzioni materiali finalizzate alla sopravvivenza fisica, assolvono a una funzione simbolica, indispensabile per la crescita psicologica. Grazie a tali rappresentazioni l’uomo prende sempre più coscienza del proprio valore, ma anche della necessità di rapportarsi a un oltre, a qualcosa in grado di sopravvivere al corpo di cui avverte con angoscia il carattere finito e mortale. Si presenta così nella creazione di idoli la necessità originaria dell’uomo di coltivare la dimensione sacra della vita, che trova il suo pieno compimento nella “scoperta” di Dio. Quando però gli idoli, da rappresentazione simbolica del corpo diventano oggetto di culto, il simulacro si trasforma da immagine in cosa, a cui viene affidato un potere magico di salvezza. Si apre così una frattura profonda tra l'idolatria, in cui la persona è posseduta dall’idolo che ha creato, e la religione, che rimanda sempre a una dimensione ulteriore, quella di un Dio, che non può mai essere reificato: nell’ebraismo non se ne può pronunciare il nome, nell’islam non può essere raffigurato e nel cristianesimo si presenta come un uomo che muore e risorge. In chiave archetipica l’episodio che illustra questa frattura è quello di Mosé che si scaglia contro l’idolatria degli ebrei nel viaggio dall’Egitto verso la terra promessa (Esodo 32). Visto che Mosé “tardava” sull'Oreb, il popolo chiede ad Aronne di fare un dio che invece lo guidi subito alla meta. Fondendo l’oro delle donne viene così realizzato il vitello d’oro, un oggetto magico che risponde all’aspettativa di chi vuole soddisfare immediatamente i propri desideri. L’esigenza dell’oltre si perverte così in quella della soddisfazione immediata e l’idolo assolve a livello psicologico proprio questa funzione. Il culto degli idoli nella società contemporanea risponde ancora a questa dinamica: il desiderio, che richiede sempre distanza, uno spazio e un tempo in cui l’oggetto non è mai pienamente posseduto, si perverte in bisogno che richiede sempre di essere soddisfatto immediatamente. Il processo di secolarizzazione, lo sviluppo onnipervasivo del sistema dei consumi, l’affermarsi di una realtà virtuale che tende a scindere sempre più l’immagine dal corpo, hanno favorito la trasformazione del desiderio in godimento, un godimento che deve realizzarsi sempre e subito. In particolare il culto dell’immagine scissa dalla sua relazione col corpo, favorito dallo sviluppo di internet, ha contribuito a fare del narcisismo la patologia forse più diffusa dell’epoca contemporanea in Occidente, una patologia che inaugura l’idolatria dell’Io. Il carattere simbolico dell’uomo però ci invita alla speranza: anche se la tentazione dell’idolatria, come la chiama Silvano Petrosino (L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan, Mimesis) è una caratteristica ricorrente dell’animo umano, ciascuno di noi può sempre sviluppare uno sguardo e un atteggiamento psicologico che vada oltre, che si apra all’altro invece di chiudersi nel possesso dell’oggetto, uno sguardo che cerchi nell’altro il volto di quel Dio vivente che non potrà mai essere ridotto a idolo.